Shah-In-Shah by Ryszard Kapuscinski

Shah-In-Shah by Ryszard Kapuscinski

autore:Ryszard Kapuscinski [Kapuscinski, Ryszard]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2016-02-22T23:00:00+00:00


Nota 7.

Mahmud Azari rientrò in Iran all’inizio del 1977. Aveva trascorso otto anni a Londra, dove si era mantenuto traducendo libri per vari editori e redigendo testi per agenzie pubblicitarie. Era un uomo anziano e solitario che, a parte il lavoro, amava trascorrere il tempo passeggiando e chiacchierando con i compatrioti. In quelle occasioni la conversazione verteva principalmente sui problemi degli inglesi: anche a Londra la Savak era onnipresente e i temi nazionali pericolosi.

Verso la fine del soggiorno gli giunsero alcune lettere attraverso canali privati. Suo fratello lo spingeva a rientrare, dicendo che si annunciavano tempi interessanti. A Mahmud i tempi interessanti facevano paura, ma, poiché il fratello era sempre stato l’autorità di famiglia, fece le valigie e rientrò a Teheran.

La città gli parve irriconoscibile.

La tranquilla oasi nel deserto di una volta si era trasformata in un formicaio assordante. Cinque milioni di abitanti stipati tentavano di andare da qualche parte, di dire, fare o mangiare qualcosa tutti in una volta. Migliaia di macchine intasavano le strade strette, formando lunghe file ridotte all’immobilità grazie al doppio senso di circolazione e pressate, penetrate, decimate ai fianchi da colonne in arrivo da sinistra e da destra, da nordest e sudovest, fino a formare

mostruose stelle marine maleodoranti e rombanti intrappolate nelle gabbie dei vicoli. Migliaia di clacson strombazzavano vanamente dall’alba al tramonto.

Notò che la gente, una volta calma e gentile, adesso litigava per ogni minima cosa, esplodeva incollerita per un nonnulla, si saltava vicendevolmente alla gola urlando e maledicendo. Quelle persone lo facevano pensare a strani mostri surreali dalle membra indipendenti, una parte delle quali si inchinava umilmente ai potenti, mentre l’altra calpestava i deboli. Evidentemente la cosa procurava una sorta di interno equilibrio deplorevole e abietto, ma necessario per mantenersi a galla e sopravvivere.

Fu preso dal timore di non riuscire, di fronte a un mostro del genere, a prevedere quali membra sarebbero entrate in azione per prime: quelle che si inchinavano o quelle che calpestavano? Presto constatò che quelle che calpestavano erano le più attive, le più pronte a farsi avanti, ritirandosi soltanto nei casi più estremi.

Come prima uscita scelse il parco. Si sedette accanto a un tizio su una panchina e tentò di attaccare discorso. Senza una parola l’uomo si alzò e si allontanò in fretta. Ripeté il tentativo interpellando un passante, che lo guardò terrorizzato come alla vista di un pazzo furioso. Lasciò perdere e decise di rientrare all’albergo dov’era sceso al suo arrivo.

Alla reception un tipo insonnolito e sgarbato gli comunicò che doveva presentarsi alla polizia. Per la prima volta in otto anni ebbe paura, riscoprendo una sensazione che non invecchiava: la solita impressione di un ghiacciolo infilato tra le scapole, le solite gambe pesanti.

La polizia occupava uno squallido e maleodorante edificio in fondo alla strada dell’albergo. Mahmud si mise in coda tra gente cupa e

apatica. Dall’altra parte degli sportelli i poliziotti erano intenti a leggere il giornale. Nel grande ambiente affollato regnava il più assoluto silenzio, nessuno osava fiatare. A un tratto, senza un motivo apparente, l’ufficio si mise in moto.



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